1. Giufà e la statua di cera
C’era una volta un ragazzo di nome Giufà, era un po’ sciocco, pigro e combinaguai, viveva con la sua mamma, che era povera ma saggia.
Un giorno, la mamma gli disse:
“Giufà, prendi questa tela e valla a vendere al mercato. Ma ricorda, non darla a chi parla troppo. Trova qualcuno di poche parole!”
Giufà prese la tela e andò in paese gridando: “Chi compra la tela? Chi compra la tela?”
Una signora si avvicinò e disse: “Fammi vedere la tela. Quanto costa?”
Giufà scosse la testa. “Tu parli troppo! La mia mamma ha detto di non venderla ai chiacchieroni!”
Così se ne andò, continuando a camminare. Poco dopo, un contadino gli chiese: “Quanto vuoi per la tela?”
“Dieci monete d’argento!” rispose Giufà.
“Dieci? Troppo cara! Te ne do cinque.”
Giufà sospirò. “Anche tu parli troppo! Non te la posso dare.”
Cammina e cammina, Giufà arrivò in un cortile e vide una grande statua di gesso. Si avvicinò e chiese: “Vuoi comprare la mia tela?”
La statua, ovviamente, non rispose.
Giufà aspettò un po’ e poi disse: “Che meraviglia! Finalmente qualcuno di poche parole! Ti lascio la tela qui e domani vengo a prendere i soldi. D’accordo?”
Felice della sua vendita, tornò a casa. “Mamma, ho venduto la tela!”
“Bravo! E dove sono i soldi?”
“Li prendo domani! La persona a cui l’ho venduta non ha detto neanche una parola!”
La mamma si prese la testa tra le mani. “Oh, Giufà… speriamo bene!”
Il giorno dopo, Giufà tornò dalla statua. La tela era sparita! “Ehi, dove sono i miei soldi?” chiese, ma la statua restava muta.
“Non vuoi parlarmi, eh? Ma la tela te la sei presa! Ora mi paghi!” gridò arrabbiato.
Prese una zappa e colpì la statua, che si ruppe in mille pezzi. Dentro, nascosta, c’era una pentola piena di monete d’oro!
Giufà, felicissimo, raccolse tutto e corse a casa. “Mamma, la statua non voleva pagarmi, così l’ho colpita e guarda cosa ho trovato!”
La mamma sgranò gli occhi e sussurrò: “Zitto, Giufà! Dammi qua e non raccontarlo a nessuno.”

2 Giufà, la luna, i ladri e le guardie
Una mattina, Giufà decise di andare a raccogliere erbe nei campi. Cammina e cammina, il sole tramontò e prima che potesse tornare a casa era già notte.
La luna si nascondeva dietro le nuvole, e ogni tanto si affacciava per poi sparire di nuovo. Giufà si sedette su una pietra e cominciò a parlare alla luna.
“Vieni fuori, vieni fuori!” diceva quando la vedeva.
E poi subito dopo: “Nasconditi, nasconditi!” quando spariva.
Continuò così a lungo, “Vieni fuori” – “Nasconditi!” ripetendo sempre le stesse parole.
Proprio sotto la strada, nascosti tra i cespugli, c’erano due ladri intenti a dividere un vitello rubato. Sentendo Giufà gridare “Vieni fuori!” e poi “Nasconditi!”, pensarono che fosse la polizia venuta a prenderli. Presi dalla paura, lasciarono tutto e scapparono via di corsa.
Giufà sentì il rumore dei passi e, incuriosito, si avvicinò. Trovò il vitello già tagliato a pezzi, con tutta la carne pronta.
“Che fortuna!” esclamò. Prese un coltello, riempì il suo sacco con quanta più carne poteva e tornò a casa.
Bussò alla porta – Bum… Bum… Bum – “Mamma, apri!”
La mamma rispose assonnata: “Giufà! È questa l’ora di tornare?”
“Mamma, mentre tornavo, ho trovato della carne! Domani devi venderla tutta per me, ho bisogno di soldi.”
La mamma sospirò. “Va bene, domani ci penso io. Tu vai a lavorare in campagna e io la vendo.”
Il giorno dopo, quando Giufà tornò, chiese impaziente: “Mamma, l’hai venduta la carne?”
La mamma rispose: “Certo, l’ho data a credito alle mosche.”
“E quando mi pagano?” chiese Giufà, confuso.
“Quando avranno da pagare!” rispose la mamma con un sorriso furbo.
Giufà aspettò per otto giorni, ma le mosche non gli portarono nemmeno una moneta. Stanco di aspettare, decise di andare dal Giudice.
“Signor Giudice, voglio giustizia! Ho dato la mia carne a credito alle mosche e non mi hanno ancora pagato.”
Il Giudice lo guardò e disse: “Ti concedo il diritto di far giustizia. Da oggi in poi, ogni volta che vedi una mosca, sei autorizzato a ucciderla.”
In quel momento, una mosca si posò proprio sul naso del Giudice. Giufà non perse tempo e gli diede un gran pugno sul naso per schiacciarla!

3. Giufà e la berretta rossa
Giufà era un ragazzo molto pigro. Sua madre si arrabbiava spesso con lui:
“Giufà, non puoi passare le giornate a non fare niente! Devi guadagnarti da vivere!”
Un giorno, stanca di vederlo sempre con le mani in mano, gli disse: “O trovi un modo per guadagnarti la tua roba, o ti caccio di casa!”
Giufà, allora, andò in città e cominciò a prendere vestiti dai mercanti dicendo: “Datemi credito, vi pagherò presto!”.
Così si vestì di tutto punto, persino con una bella berretta rossa. Ma poi si rese conto che doveva pagare i debiti e, per evitarlo, ebbe un’idea: fingere di essere morto!
Si mise a letto e cominciò a gridare: “Sto morendo! Sto morendo!”.
Poi incrociò le mani sul petto e chiuse gli occhi. La mamma, spaventata, iniziò a piangere forte. La voce si sparse e tutti nel villaggio vennero a vederlo, anche i mercanti a cui doveva dei soldi.
“Povero Giufà!” diceva uno. “Mi doveva sei monete per un paio di calzoni… Ma che importa, glieli rimetto!”
Così tutti gli perdonarono i debiti, tranne il mercante della berretta rossa, che non voleva perdere i suoi soldi. Così, quando Giufà venne portato in chiesa per la sepoltura, si nascose dentro per vedere cosa sarebbe successo.
Quella notte, alcuni ladri entrarono nella chiesa per dividersi un sacco di monete d’oro e d’argento. Mentre contavano il bottino, rimasero con una moneta in più e decisero di giocarsela: “Tireremo la moneta contro il morto! Chi riesce a centrare la bocca, vince!”
Giufà sentì tutto e, appena i ladri stavano per lanciare, si alzò di scatto e gridò: “Morti! Risuscitate tutti!”.
I ladri si spaventarono a morte e scapparono lasciando tutto il loro bottino! Giufà stava per raccoglierlo quando il mercante della berretta saltò fuori dal suo nascondiglio.
“Dividiamo!” disse l’uomo.
Si spartirono le monete, ma ne rimase una da cinque grani. Giufà la voleva per sé, ma il mercante disse: “No, questa la prendo io!”
“No, è mia!” rispose Giufà.
Mentre litigavano, i ladri, che erano rimasti nei dintorni per controllare, sentirono la discussione.
“Oh no!” dissero. “Quanti sono questi morti risorti? Se si stanno dividendo solo cinque grani, vuol dire che sono tantissimi!”
Spaventati, scapparono per sempre.
Giufà e il mercante tornarono a casa con un bel sacco di monete e Giufà anche con i suoi cinque grani in più.

4. Giufà e l’otre
La mamma di Giufà non sapeva più cosa fare con lui, così decise di mandarlo a lavorare nella taverna del paese.
“Giufà, devi imparare a guadagnarti da vivere!” gli disse severa.
Il taverniere lo accolse e subito gli diede un compito: “Porta quest’otre al mare e lavala bene, altrimenti ti farò un bel rimprovero!”.
Giufà andò al mare e iniziò a strofinare l’otre. Lavava e lavava, ma non era sicuro di aver fatto un buon lavoro. Guardandosi intorno, vide un bastimento che si allontanava dal porto e pensò che qualcuno là sopra avrebbe potuto aiutarlo.
Così iniziò a sventolare il fazzoletto e a gridare: “Ehi voi! Venite qua! Venite qua!”.
Il capitano del bastimento, vedendolo agitarsi, ordinò ai suoi uomini di avvicinarsi con una scialuppa. “Che succede, ragazzo?” chiese.
“Signore, mi potete dire se ho lavato bene quest’otre?” domandò ingenuamente Giufà.
Il capitano si infuriò per aver perso tempo e gli diede una bella lezione con un bastone.
E Giufà, piangendo chiese: “Ma come dovevo dire?”
“Se un altro ti chiede cosa dire, rispondi: ‘Signore, fateli correre!'”.
Giufà riprese la strada verso casa ripetendo: “Signore, fateli correre!”.
Lungo il cammino incontrò un cacciatore che stava per sparare a due conigli.
“Signore, fateli correre!” disse Giufà.
I conigli scapparono via e il cacciatore, arrabbiatissimo, gli diede un colpetto sulla testa. “Sciocco! Devi dire: “Signore, fateli uccidere!”
Giufà riprese il cammino ripetendo la nuova frase “Signore, fateli uccidere!”
Poco dopo vide due uomini che litigavano furiosamente. “Signore, fateli uccidere!” gridò.
I due, sentendo quelle parole, smisero di litigare e si voltarono verso di lui, arrabbiati.
“Ah, vuoi che ci facciamo del male?!” dissero, e iniziarono a picchiarlo. “Dovevi dire: ‘Signore, fateli dividere!” gli suggerirono alla fine.
Giufà continuò il suo cammino ripetendo: “Signore, fateli dividere!” Ma proprio in quel momento passava una coppia di sposi appena usciti dalla chiesa. Sentendo quelle parole, lo sposo si infuriò:
“Sciagurato! Vuoi che mi separi da mia moglie?” e gli diede qualche scappellotto. “Dovevi dire: ‘Signore, fateli ridere!”.
Ormai dolorante, Giufà riprese il suo viaggio ripetendo: “Signore, fateli ridere!”. Ma questa volta passava davanti a una casa dove si teneva un funerale. I parenti in lacrime lo sentirono e, offesi dalle sue parole, gli diedero un’altra sonora lezione.
Finalmente, Giufà capì che forse era meglio tacere e tornare alla taverna. Ma quando il taverniere lo vide arrivare solo alla sera con l’otre ancora in spalla, gli diede tante legnate e lo licenziò.

5. Mangiate, vestitucci miei!
Giufà era un ragazzo un po’ strambo, e la gente spesso lo prendeva in giro. Un giorno, affamato e con i vestiti tutti rattoppati, decise di andare in una grande fattoria per chiedere qualcosa da mangiare. Ma appena i contadini lo videro, lo scambiarono per un vagabondo e slegarono i cani per cacciarlo via.
Tornato a casa triste e affamato, Giufà raccontò tutto alla madre.
Lei scosse la testa e gli disse: “Figlio mio, forse se ti vesti bene la gente ti tratterà con più rispetto.”
Così gli diede un bel mantello nuovo, un gilet di velluto e un paio di calzoni puliti.
Giufà, tutto fiero del suo nuovo aspetto, tornò alla fattoria. Questa volta i contadini lo accolsero con grandi sorrisi e gentilezze.
“Benvenuto, signore! Siete dei nostri? Venite, mangiate con noi!” gli dissero, facendolo sedere a tavola e riempiendogli il piatto con ogni sorta di leccornie.
Ma mentre mangiava, Giufà fece una cosa molto strana: con una mano portava il cibo alla bocca e con l’altra si riempiva le tasche, il cappello e perfino le maniche del mantello.
I contadini lo guardarono stupiti e gli chiesero: “Giufà, ma cosa stai facendo?!”.
Lui, sorridendo, rispose: “Mangiate, mangiate, vestiti miei! Perché a voi hanno invitato, non a me!”.
I contadini si misero a ridere, ma capirono il suo messaggio: avevano trattato male Giufà quando era malvestito e solo ora che sembrava ricco gli avevano offerto cibo e gentilezza.

6. Giufà, tirati la porta!
Giufà doveva andare al campo con sua madre. La madre uscì di casa per prima e disse:
“Giufà, chiudi la porta!”
Giufà si mise a tirare, a tirare, finché la porta si staccò dai cardini. Lui se la caricò in spalla e andò dietro a sua madre.
Dopo un po’ di strada, cominciò a dire:
“Mamma, mi pesa! Mamma, mi pesa!”
La madre si voltò chiedendo: “Cosa hai che ti pesa?” e vide che teneva la porta di casa sulle spalle.
“Dovevi solo chiuderla! No portartela dietro!”
Continuarono a camminare, ma con quel carico addosso fecero tardi. Venne notte ed erano ancora lontani da casa, così per paura dei briganti, madre e figlio s’arrampicarono su un albero.
Giufà teneva sempre la porta sulle spalle.
A mezzanotte, proprio sotto quell’albero arrivarono dei briganti che dovevano spartirsi il bottino.
Giufà e la mamma stavano col fiato sospeso e ascoltavano nascosti tra i rami.
Dopo un po’ Giufà disse sottovoce:
“Mamma, mi scappa la pipì.”
“Cosa?”
“Mi scappa.”
“Trattieniti”
“Non ne posso più”
“Trattieniti.”
“Non posso.”
“E falla!”
E Giufà la fece. I briganti quando sentirono scendere acqua, dissero: “To’, tutt’a un tratto s’è messo a piovere!”
Dopo un po’ Giufà disse ancora sottovoce:
“Mamma, mi scappa di fare un bisogno.”
“Trattieniti.”
“Non ne posso più.”
“Trattieniti.”
“Non posso.”
“E falla!”
E Giufà la fece. I briganti si sentirono cadere addosso quella cosa e dissero:
“Cos’è, manna del cielo? O son gli uccelli?”
Poi Giufà, che teneva sempre quella porta sulle spalle, cominciò a dire sottovoce:
“Mamma, mi pesa.”
“Aspetta.”
“Ma mi pesa!”
“E aspetta!”
“Non posso più” e lasciò andare la porta che piombò addosso ai briganti.
Spaventati i briganti corsero via a gambe levate.
La mamma e Giufà scesero dall’albero e trovarono un bel sacco di monete d’oro che i briganti stavano spartendo.
Portarono a casa il sacco e la mamma gli disse: “Non dire a nessuno questa storia, che se lo sa la polizia, ci manda tutti e due in galera.”
Poi, la mamma uscì a comprare uva passa e fichi secchi, salì sul letto e appena Giufà uscì di casa, prese a fargli cadere manciate d’uva e fichi sulla testa.
Giufà si riparò.
“Mamma!” chiamò dentro casa.
E la madre, dal tetto: “Cosa vuoi?”
“C’è uva passa e fichi!”
“Si vede che oggi piove uva passa e fichi, cosa vuoi che ti dica?”
Giufà se ne andò, e la mamma tolse le monete d’oro dal sacco e ci mise chiodi arrugginiti.
Dopo una settimana Giufà andò a cercare nel sacco e trovò chiodi. Cominciò a gridare:
“Mamma dove sono i miei soldi?”
“Quali soldi?” rispose la mamma, facendo finta di non sapere niente.
Giufà, arrabbiato, andò dal giudice. “Signor giudice, avevo un sacco di monete d’oro e mia madre le ha sostituite con dei chiodi arrugginiti!”
“Monete d’oro?” chiese il giudice. “Ma quando mai hai avuto tutte queste monete d’oro?”
“Sì, signor giudice, le ho avute il giorno in cui pioveva uva passa e fichi secchi!”
Il giudice, sentendo queste parole, pensò che Giufà fosse pazzo e lo mandò all’ospedale dei matti.
Nota: tratta dalla fiaba originale “Giufà (Sicilia)” di Italo Calvino